Il Museo Etnografico Sardo di Nuoro o Museo del Costume è uno dei musei più importanti della Sardegna. È qui che sono conservate testimonianze importanti della cultura sarda e delle sue tradizioni, oggetti e strumenti della vita contadina, della pastorizia, della tessitura e di tutte quella attività artigianali di un tempo. Possiamo definirlo un viaggio in quella che era la Sardegna fino a pochi decenni di anni fa, nella ricchezza delle sue tradizioni, dell’artigianato e dei mestieri dei nostri nonni. Ecco il mio diario di bordo.
Il Museo è stato rinnovato nel 2015 con un nuovo allestimento arricchito da filmati, fotografie, ricostruzioni di ambienti storici e una nuova modalità di esposizione dei reperti. Il museo è gestito dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE), ente che ancora oggi studia la ricchissima cultura sarda, in tutte le sue sfaccettature.
Il Museo si trova in un edificio progettato dall’Arch. Antonio Simon Mossa e costruito tra gli anni ’50 e ’60 sul Colle Sant’Onofrio nella parte sud orientale di Nuoro. Il Museo ricostruisce idealmente un piccolo villaggio sardo e si articola su una serie di sale su più livelli dove sono rappresentate scene di un villaggio sardo di una volta: abitazioni, scene campestri, attività lavorative.
Si inizia da un bellissimo video che mostra il paesaggio sardo in tutto il suo splendore: non solo mare ma anche paesaggio agricolo, montagna, monumenti naturali, siti archeologici, chiese campestri. Alcuni pannelli sintetizzano lungo le pareti la storia della Sardegna dalle origini preistoriche, l’età nuragica, passando per i Fenici, i Romani, l’età medioevale ed i Giudicati fino ai Savoia, con il famoso editto delle chiudende che nel XIX secolo ha influenzato cambiato la società sarda e il suo utilizzo della terra, fino all’unità d’Italia .
Se ci si ferma a pensare si capisce che la Sardegna ha subito numerose invasioni nei corsi dei secoli che si sono trasformate in influenze negli usi e nei costumi, la lavorazione delle materie prime, fino alla creatività e il gusto in cucina. Tutte cose che possono essere osservate negli oggetti custoditi nelle sale.
Le raccolte del Museo parte da una collezione privata, la Collezione Colombini. Nell’800 non erano rare le collezioni etnografiche di appassionati ricercatori e collezionisti che amavano raccogliere testimonianze di diverse civiltà, oggetti acquistati durante i viaggi o semplicemente per passione.
La Collezione Colombini è la raccolta di Pio Colombini , professore all’Università di Sassari e poi a quella di Cagliari tra il XIX e il XX secolo, che nutriva una intensa passione per l’etnografia sarda raccogliendo oggetti, tessuti, gioielli, armi e cartoline. La sua collezione ammonta ad un totale di 1800 esemplari che data la sua importanza è stata acquistata e negli anni ’70 ed è entrata a far parte del Museo del Costume di Nuoro.
Una della prime sale espone i reperti di questa collezione mostrando già la varietà degli oggetti della cultura sarda e la loro ricchezza in termini di decorazioni, manifattura e colori.
Si può pensare alla visita al Museo come un vero e proprio viaggio alla scoperta della Sardegna, un’immersione nelle sue tradizioni, nei suoi antichi mestieri, nei riti e costumi. È proprio un Museo del “costume” intendendo con questo termine sia l’abito tradizionale un tempo caratteristico di ogni paese, soprattutto nei giorni di festa, oggi indossato principalmente da gruppi folkoloristici durante eventi, sagre e feste di paese, sia le tradizioni e le usanze della regione.
Successivamente si scoprono i diversi mestieri e le tradizioni della Sardegna attraverso la ricostruzione di alcune scene, qualche teca alternata a documentari, pannelli didascalici, citazioni e bellissime fotografie. Finalmente un Museo che non è solo esposizione di oggetti ma che come i musei più moderni lascia spazio a differenti modi di comunicare.
Si inizia dall’agricoltura e la pastorizia che per diverso tempo sono state le attività che hanno caratterizzato l’economica dell’isola. si capisce facilmente il profondo legame dei sardi con la propria terra che nei secoli è stata sfruttata per ottenere grano ed altri cereali, riso, erbe aromatiche, frutta e verdura. Un terreno spesso difficile da lavorare quello della Sardegna, ma che permesso a suo modo di diversificare le coltivazioni.
Ancora oggi le attività agricole e pastorizie sono molto attive e si stanno diffondendo progetti per la coltivazione dei terreni abbandonati e per favorire l’imprenditoria giovanile in questi settori. In controtendenza rispetto ai tempi tecnologicamente avanzati ci sono molti giovani che per amore alla propria terra stanno “ritornando alle campagne”.
La pastorizia è un’attività fondamentale nella cultura ed economia sarda. Per lo più affidata agli uomini ed incentrata sugli ovini era un’attività che vedeva l’uomo ritirarsi fuori dal paese, nelle campagne per accudire gli animali e produrre da sé i formaggi, i pecorini e gli altri formaggi che venivano realizzati in piccole capanne di legno, comunemente chiamate “pinnette”. Oggi queste usanze sono un po’ scomparse ma in territori come la Barbagia capita di poter fare escursioni che includono il pranzo presso il pastore, in una di queste particolari costruzioni.
Dall’allevamento ovino sono nati nel tempo non solo ottimi formaggi ma anche ricette semplice e gustose come la pecora in capotto, il brodo di pecora e la “suppa cuata“, tipica della Gallura e fatta con strati pane imbevuto nel brodo e formaggio.
Quella del pastore è un aspetto della cultura sarda che ha caratterizzato anche la società sarda e il suo modo di pensare. Quello che oggi in maniera dispregiativa indichiamo un pastore era in realtà un grande lavoratore, un amante della propria terra e della sua famiglia per la quale si sacrificava e dalla quale si allontanava spesso.
Uno sezione del Museo è dedicato anche alla caccia e alla pesca, attività comunque importanti nell’economia sarda di un tempo. Ho avuto la conferma che in Sardegna non tutto veniva cacciato. In particolare si cacciavano grossi animali, primo fra tutti il cinghiale, ma non animali di piccola taglia come la lepre.
Ma una delle sale che mi ha lasciato davvero senza fiato è stata quella dedicata alla lavorazione del pane.
È qui che sono esposte diverse tipologie di pane. Si, propri così, vere e proprie pagnotte di pane di ogni forma e dimensione, fatto con diverse farine, grano tenero, duro e integrale e in occasione di diverse occasioni.
Perché dovete sapere che in Sardegna il pane ha un valore molto importante e veniva realizzato in maniera diversa per ogni occasione di festa o celebrazione. Potremmo dire che ogni paese in Sardegna ha il suo tipo di pane e anche ogni santo che viene festeggiato ha il suo pane. Il pane aveva e ha ancora un valore rituale. Quello che per noi è una cosa comune, veniva realizzato in occasione di festa patronali o celebrazioni sacre.
I matrimoni sono tra queste: in occasione di questo giorno di festa veniva realizzato un pane che aveva un particolare pregio: si conservava negli anni senza mai rovinarsi!
Pensate che un tempo esisteva anche la processione dei non sposati che aveva anch’essa il suo pane, una grande scultura di pane a forma di croce decorata nei minimi dettagli.
Oltre alla varietà di forme, la cosa che colpisce del pane esposto, infatti, è il dettaglio delle decorazioni. Molte tipologie sono delle vere e proprie sculture di pane, alcune di esse anche con minuziosi dettagli incisi o realizzati impiegando il pane come una pasta da modellare: motivi geometrici, simboli, cestini di fiori, spighe, figure umane ed animali fino alla raffigurazione di vere e proprie scene campestri.
Non mi ricordo di aver visitato simili sale in altri musei. È proprio l’evidenza che il “bene culturale” da custodire ed esporre può essere anche qualcosa di più deperibile, purché rappresenti il nostro patrimonio, qualcosa che rappresenti la nostra identità e la nostra storia, che non ha niente da invidiare a nessun altro oggetto di arte decorativa. Se avrete modo di visitare il Museo Etnografico Sardo, vi accorgerete che anche il pane può essere un’espressione della creatività umana e dell’amore al bello.
Una volta uscito dalla sala del pane ho iniziato il percorso dedicato alla lavorazione tessile. Anche questo è un capitolo importante della cultura sarda. Tessitura in Sardegna vuol dire tappeti colorati, arazzi, tessuti per la vita quotidiana, tutti fatti a mano.
Un tempo la tessitura era un’attività importante dell’economia domestica e che in certi paesi dell’isola ha trovato la sua massima diffusione tra le donne. Ancora oggi molti piccoli centri abitati tramandano questa antica lavorazione frutto di amore per le cose fatte a mano, con materie prime naturali, fatte con passione.
La sala dedicata ai tessuti è un’immersione nei colori di una volta e nei diversi modi di trasferire sui tessuti la creatività sarda, i fiori che la natura offriva, i motivi geometrici dei tappeti o i minuziosi dettagli dei ricami.
Sì ci sono anche quelli i ricami delle vecchie lenzuola, gli intagli, i centrini, i punti croce, gli uncinetti, tutte testimonianze di un amore al bello nelle cose quotidiane.
Forse è in questa sala che si capiscono meglio le influenze di altri popoli nella cultura sarda.
La fruizione dei tessuti è resa possibile da diversi cassetti, delle teche qualunque visitatore può aprire per scoprire i pezzi esposti.
La ritengo un’idea molto simpatica, adatta anche alla curiosità dei più piccoli, e che permette di unire la necessità di conservazione a quella di esposizione. Spesso le collezioni museali, possono essere molto vaste, e non è possibile esporre tutto si per problemi di spazio che per ripetitività. Devo dire che questa scelta museografica mi è piaciuta perché riesce ad unire le due finalità, quella della fruizione e quella della conservazione.
E poi viene l’ultima sala che in realtà è quella che colpisce di più: una grande vetrina che ospita il costume sardo o, meglio, i costumi sardi. Decine di manichini mostrano la ricchezza dei costumi tradizionali della Sardegna nei giorni di festa. Quanta varietà, quanta ricchezza nei decori, quanti colori, quanti dettagli.
Senza dubbio colpiscono i colori per la loro vivacità: rossi e viola, verdi, blu e l’oro. L’oro dei ricami di diversi vestiti e l’oro dei gioielli, collane, orecchini ed anelli, che arricchiscono ulteriormente questi vestiti.
Protagonista assoluto del costume sardo è in questo senso il bottone, quello che possiamo definire un ulteriore gioiello sardo. Una sorta di pendente a forma di trottola, solitamente realizza in filigrana, che arricchiva i corpetti o le camicette delle donne nei tempi passati.
Rimarrete anche voi molto colpiti da questa sala. La diversità del costume sardo emerge in tutto il suo splendore. Così come il pane anche il costume tipico varia in Sardegna da paese a paese assumendo forme, colori e decori diverse da un luogo all’altro.
Anche qui ci sono i cassetti che nascondo bellezze: dai vestini per i neonati ai costumi per bambini, ai ricami per il giorno del battesimo, i gioielli più particolari.
Infine, un’ultima sala è dedicata ad un’altra tipologia di oggetti preziosi, ovvero gli oggetti sacri e di devozione, rosari ed amuleti che accompagnavano i costumi tradizionali. Questi oggetti mostrano una forte passione per rendere preziose, come dei gioielli, oggetti per le preghiere e le offerte ai santi, testimonianze di un’amore a certi valori e di una fede quotidiana che oggi un po’ abbiamo perso.
Se anche voi volete fare questo viaggio nella Sardegna più vera, salite a bordo, il Museo Etnografico Sardo vi farà scoprire un’isola ricca di storia, di tradizioni e di innumerevoli cose belle!
Il Museo Etnografico Sardo si trova a Nuoro in Via Antonio Mereu 56, a pochi minuti di distanza dal centro storico e dalla Casa Museo Grazia Deledda.
Ulteriori informazioni possono essere trovate sul sito dell’ISRE: www.isresardegna.it