Sono passati alcuni anni da quando ho visitato per la prima volta il Museo Galluras. Non avevo ancora il blog ma ho voluto scrivere questo post per raccontarvi di questo piccolo ma interessante museo etnografico che si trova a Luras, nell’alta Gallura, e che degna una visita per conoscere di più la cultura di questo territorio, i suoi mestieri e le sue usanze.
Il nome Galluras omaggia sia la Gallura, il territorio che racconta, sia Luras, il paese che lo ospita. Il Museo è allestito all’interno di un’antica abitazione nel centro storico del paese. Dalla raccolta di oggetti protagonisti della vita agro-pastorale e domestica di un tempo sono state allestite le stanze di un antica abitazione: percorrendole si rivive la storia più recente della civiltà gallurese: la coltivazione del vino e la lavorazione dei campi con l’aratro a buoi, lavorazioni artigianali, l’estrazione e trasformazione del sughero, la lavorazione tessile, fino alle tradizioni più casalinghe.
Ma il museo è diventato famoso per un oggetto in particolare, un antico martello in legno utilizzato in cicrcostanze ben precise. E’ per questo che è noto come il Museo della “Femina Agabbadòra”. Ma andiamo con ordine.
Il museo è visitabile grazie alla disponibilità di alcune guide, persone del luogo che continuano a mettere tutta lapropria passione e conoscenza del territorio e del suo passato nella gestione di questo museo e che vi accompagneranno alla scoperta della cultura gallurese con piccoli e simpatici racconti.
Si entra al museo da un piccolo cortile su cui si affaccia l’ingresso dell’abitazione e una cantina. Sono qui esposti l’antico carro a buoi protagonista della vita di un tempo (pensate che era il mezzo di trasporto di merce di diverso tipo fino alla metà del XX secolo), strumenti di lavoro per la campagna, i vigneti, l’allevamento e marchiatura del bestiame e per la preparazione del vino.
Ecco perché mi piacciono questi piccoli musei: perché raccolgono tanti vecchi oggetti, per certi versi insignificanti, ma che nella loro usura raccontano la vita di un tempo, il lavoro e la fatica di una volta, storie di vita vissuta, usanze, conoscenze e mestieri che non spesso non si praticano più. Rimarrete colpiti dalla quantità di oggetti esposti. Grazie a donazioni private e all’attenta raccolta del fondatore il museo è un’ampia raccolta diqueste preziose testimonianze. Non c’è bisognodi di didascalie perché gli oggetti parlano da sè o sono raccontati dalla guida.
Negli ambienti de “sa chentìna” (la cantina) sono esposti diversi attrezzi per la lavorazione della vite e per la preparazione del vino, botti, fiaschi, contenitori in sughero per il trasporto dell’uva, il torchio. Interessante la piccola collezione di cavatappi (tirabusciò)
Qui si trovano anche strumenti per il lavoro nei campi come zappe, falci e forconi e strumenti per il trasporto e la lavorazione del latte e la preparazione di ricotta e formaggi. Che peccato che molte di queste tradizioni si siano perse!
Al piano superiore si entra nel cuore dell’abitazione: la sala da pranzo e la cucina con esposti tutte le stoviglie e gli strumenti di una volta. Immancabili nella sala da pranzola credenza e il mobile per la conservazione del pane.
Mi ha sempre colpito molto la cura dei particolari di questo museo: gli ambienti sono ricostruiti con una cura al dettaglio tale che sembra di fare veramente un salto nel tempo nella quotidianità della vita.
Ma la stanza più nota di tutto il Museo è la camera da letto. Al centro un letto in ferro battuto di fine ‘800 sopra il quale sono esposte le fotografie degli avi e sul quale è adagiato un sacco nero che custodisce il martello de “sa femina Agabbadòra” che dà il secondo nome al museo. Con questo termine si indicava una donna che interveniva in casi di malati terminali alleviandone le ultime sofferenze.
Rimarrete colpiti non tanto dall’oggetto in sé, che certamente impressiona per la sua finalità, ma anche per la ritualità tra il sacro e il profano che questa persona seguiva durante il suo intervento. Innanzitutto si metteva un piccolo giogo sotto il cuscino, allontanava i familiari dalla stanza, nascondeva le icone e le immagine sacre per poi operare con il martello.
L’Agabbadòra era anche un’ostetrica che veniva chiamata per aiutare durante i parti,un tempo eseguiti nelle abitazioni. E’ evidentemente un personaggio di cui rimane un alone di mistero, in parte leggendario, ma il fondatore del Museo, Pier Giacomo Pala riuscì, a partire dagli anni ’80 a ritrovare questo martello raccogliendo le testimonianze di anziani che avevano conosciuto una delle ultime Agabbadòre della zona. Il martello, infatti fu ritrovato seguendo alcune indicazioni, in un muretto a secco, vicino all’antica abitazione (stazzo) dove avrebbe dovuto abitare un’Agabbadora .
E’ chiaro che un personaggio del genere, al quale la comunità ha affidato nel tempo il compito di dare o togliere la vita, ha fatto discutere tanto e per questo il Museo è diventato molto famoso negli anni. Rimmarrete senz’altro colpiti dal suo racconto, dalla storia di queste donne e dal loro operato.
Dalla rievocazione della storia dell’Agabbadòra sono nati anche alcuni libri. Uno, ad esempio è quello che ha ispirato il romanzo Accabbadòra (Einaudi, 2009) che fatto ottenere alla scrittrice Michela Murgi il Premio Campiello.
Nella camera da letto è presente anche un piccolo spazio dedicato alla lavorazione delle scarpe del calzolaio.
Infine, al piano superiore uno spazio è dedicato alla lavorazione della lana e del lino e l’arte tessile e alla bellissima attività di lavorazione del sughero tipica della Gallura.
La tessitura, infatti, è un’altra delle attività artigianali tradizionali in Gallura, e in passato si preparavano quotidianamente in casa filati di ogni genere: tessuti per indumenti, biancheria per la casa fino ai colorati tappeti in lana come di diverse tiplogie ne esistono in Sardegna.
Nella stanza della tessitura è esposto un antico telaio con esposto “su disègno lurisìncu” , il disegno lurese.
Infine una stanza è dedicata alla lavorazione del sughero: sono esposti non solo oggetti in sughero ma anche gli strumenti che ne permettevano alla lavorazione in plance e successivamente in quadretti.
Quanto costa?
“Se il museo non vi è piaciuto non si paga” così vi sentirete dire all’uscita del museo! In realtà il costo del biglietto è di 5 euro che – vi dico -sarete ben disposti a spendere per aver conosciuto qualcosa in più della cultura gallurese, le tradizioni di questo antico territorio .
Dovesi trova il museo
Il Museo si trova a Luras, nella strada principale che costituisce Via Nazionale che si imbocca al’ingresso nel paese. E’ possibile organizzare la propria visita telefonando preventivamente. Ulteriori informazioni sul museo e sulla femina Agabbadora su www.galluras.it